Ricerche e Scavi

Etruschi delle origini

Il Centro conduce ricerche nel territorio tra Toscana e Lazio, allo scopo di ricostruire il periodo compreso tra l’età del rame e la fine dell’età del Bronzo, tra il quarto millennio e il X a.C., che precede la civiltà Etrusca e contribuisce alla sua formazione.I principali scavi degli anni passati hanno riguardato, oltre che l’abitato del Bronzo Finale di Sorgenti della Nova (Farnese Vt), in corso di scavo dal 1974, le necropoli eneolitiche di Poggialti – Vallelunga (Pitigliano Gr) e Fontanile di Raim (Ischia di Castro Vt), la grotta inghiottitoio di Poggio la Sassaiola sul Monte Amiata (Santa Fiora Gr) databile al Bronzo Antico - Medio, la tomba della stessa epoca di Prato di Frabulino (Farnese Vt), l’abitato protostorico e poi etrusco di Sovana (Sorano Gr).
Attualmente sono in corso gli scavi dell’abitato monumentale di Sorgenti della Nova (Farnese Vt), il sito legato alla produzione del sale di Duna Feniglia e quelli della necropoli di Mandione di San Giovanni (Ischia di Castro Vt) risalente all'età del Rame.

Sorgenti della Nova

Lo scavo dell'abitato del Bronzo Finale di Sorgenti della Nova (Farnese - VT), iniziato nel 1974 da Ferrante Rittatore Vonwiller, prosegue annualmente dal 1976 sotto la direzione di Nuccia Negroni Catacchio nell'ambito delle attività del Dipartimento di Scienze dell'Antichità, sezione di Archeologia dell'Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica dell'Etruria Meridionale e con il Centro Studi di Preistoria e Acheologia.

Sorto su una rupe di tufi e pomici naturalmente difesa, posta alla confluenza dei due torrenti. La Varlenza, che segna l'attuale confine amministrativo tra Lazio e Toscana e la Porcareccia, l'abitato rappresenta un ambito privilegiato di ricerca per la ricchezza e l'abbondanza dei suoi resti archeologici, disturbati solo in parte dagli interventi umani moderni. Nonostante infatti le parziali distruzioni causate soprattutto sul versante settentrionale dai lavori di una cava rimasta attiva fino al 1976, e dagli scassi per i lavori agricoli, è stato possibile individuare e portare alla luce numerose grotte scavate artificialmente nella roccia, utilizzate come abitazioni o come ambienti di servizio e le fondazioni di alcune capanne, sia del tipo a base incassata nella roccia, sia su canalette perimetrali. La presenza di numerose strutture secondarie come buche di scarico, bacini per la raccolta delle acque, canalette di drenaggio, forni in cotto completa infine il quadro dell'abitato, evidenziandone le caratteristiche monumentali e ormai già di tipo "protourbano" e permettendo di osservare e comprendere le scelte costruttive e l'organizzazione spaziale generale.
L'abbondanza dei reperti rinvenuti offre infine la possibilità non solo di inquadrare il sito da un punto di vista cronologico individuandone le direttrici di espansione, ma anche di analizzare il vasto repertorio tipologico e decorativo tipico del Bronzo Finale.
L'interesse di Sorgenti della Nova è infine completato dalla parziale sovrapposizione sull'abitato protostorico di un centro medievale in cui sono state rinvenute abitazioni di tipo rupestre, con grotte scavate nella roccia, e inoltre case con muri perimetrali e alzato in materiale deperibile, una chiesa a navata unica con una buca-ossario dietro l'abside e resti di un cimitero e infine un castello di cui sono visibili i resti di un'alta torre.

 

L'abitato produttivo di Duna Feniglia (Orbetello Gr)

Nell'estate del 2000 nell'ambito delle attività del CSP e del Dipartimento di Scienze dell'Antichità - sezione di Archeologia dell'Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Toscana è stata così avviata una campagna di ricognizione all'interno della Riserva naturale della Duna Feniglia.
Le nostre conoscenze sulla frequentazione preistorica del Tombolo di Feniglia sono dovute essenzialmente a due fonti: la ricognizione della Laguna di Orbetello, Monte Argentario, Isola del Giglio e Giannutri condotta dalle Università di Firenze e di California (Santa Cruz), nel 1968, e quella delle Università di Pisa e Siena nell'ambito del progetto Ager Cosanus e Valle dell'Albegna.
I risultati della prima sono stati pubblicati nel 1970, ma purtoppo si tratta solo di un elenco dei siti identificati con una succinta descrizione dei materiali rinvenuti.
I risultati dell'indagine sono stati di grande rilievo, permettendo di spostare in età etrusca alcuni dei siti attribuiti in precedenza all'età del bronzo e permettendo di individuare alle due estremità del tombolo estesi affioramenti di ceramica di impasto attribuibili alla prima età del ferro, inquadrabili in quelli che vengono definiti “giacimenti di olle ad impasto rossiccio”, interpretati come insediamenti finalizzati alla produzione del sale e alla conservazione del pesce e dei suoi derivati, nati lungo le coste tirreniche dell'Italia centrale agli inizi dell'età del Ferro e che con il proseguire delle ricerche si vanno rivelando sempre più diffusi su tutta la costa tirrenica, dal litorale ceretano a quello populoniese. Successivamente i sondaggi realizzati tra il 2001 e il 2005 nell'insediamento presso la sede della Forestale hanno permesso di individuare diversi scarichi di frammenti di grandi vasi, per lo più di impasto grossolano, la cui abbondanza e la cui forma ripetitiva, suggeriscono l'esistenza di attività produttive specializzate che prevedevano la fabbricazione, l'uso e la distruzione di questi manufatti. È probabile che questi contenitori fossero utilizzati per lo stoccaggio del pesce o per l'estrazione del sale per ebollizione, secondo una tecnica, alternativa all'impianto di saline, nota anche in altri contesti del mondo antico. Tali frammenti sono in gran parte localizzati all'interno di un'ampia fossa e frammisti a strati di cenere, indizio dell'esistenza di intense attività di fuoco. Lo scavo ha inoltre permesso di riconoscere l'esistenza dei resti di un'abitazione a pianta rettangolare, databile sempre all'età del Ferro, probabilmente destinata a laboratorio, di cui resta un tratto di muro di fondazione a secco. Nell'area circostante sono stati inoltre rinvenuti due forni in cotto, ed un piccolo focolare dello stesso materiale, funzionale alla cottura dei cibi.
L'assistenza archeologica prestata nel 2002 alla realizzazione di una trincea di scavo per la posa del tubo dell'acquedotto, che ha interessato la strada che attraversa la riserva naturale, ha inoltre consentito la registrazione di ulteriori dati su questo insediamento, con il riconoscimento della presenza di punti di fuoco, probabilmente relativi alla lavorazione del sale per ebollizione, e ha permesso l'individuazione di un insediamento analogo a quello attualmente indagato, all'estremità opposta del tombolo. Grazie alle indagini in corso è ora possibile delineare meglio le modalità di occupazione del tratto costiero pertinente al territorio dell'antica città di Vulci e chiarire l'economia delle comunità alle origini della cultura etrusca.

 

Lo scavo di Sovana (Sorano, Grosseto)

Nel cuore della Maremma tosco-laziale si erge la rupe tufacea su cui si è sviluppato l'abitato di Sovana preistorica, etrusca, medievale e moderna. Le campagne di scavo e di ricognizione sistematica, condotte dal 1989 dal Dipartimento di Scienze dell'Antichità, sezione di Archeologia dell'Università degli Studi di Milano diretti dalla Prof.ssa Nuccia Negroni Catacchio in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Toscana , e il CSP hanno dimostrato che il sito era già frequentato in epoca neolitica. Sul versante meridionale della rupe, proprio alle spalle della Cattedrale di San Pietro edificata tra l'XI e il XII secolo su di una precedente chiesa risalente all'VIII secolo, di cui rimangono i marmi scolpiti del portale e la cripta, sono state messe in luce alcune abitazioni a pianta ellittica, disposte lungo il margine del dirupo. Le capanne del BronzoFinale erano sorrette da pali perimetrali e da pali centrali più grossi che sostenevano il tetto. Dell'alzato in materiale deperibile, probabilmente, come in altri abitati coevi, costituito da u n i ncannicciato rivestito d'argilla, non è rimasta alcuna traccia. Gli scavi hanno inoltre permeso di accertare la frequentazione della rupe durante la fase etrusca di periodo orientalizzante-arcaico, cui sono riferibili le grandi case a pianta rettangolare, costruite su grossi pali perimentrali, rinvenute in tutti i settori.
Dopo un periodo di abbandono documentato tra la fine del V e il IV secolo a.C., l'area è stata intensamente sfruttata, sia con strutture produttive cui appartengono la fornace (IV/III sec. a.C.), l'articolata zona produttiva comprendente silos, pozzetti, canali di scolo e la cd. "vaschetta a scarpa" (III sec. a.C.) in ottimo stato di conservazione,; sia con abitazioni private composte da più ambienti comunicanti, con funzioni differenti, con alzato in blocchi di tufo e copertura in grosse tegole d'argilla. Sempre ad epoca etrusco-romana appartiene la struttura monumentale, tuttora in corso di studio, costituita da un muro con andamento perpendicolare rispetto al dirupo, costruito in grossi blocchi di tufo, alcuni dei quali presentano tracce di intonaco su uno dei lati e da un muretto di rincalzo. Dopo l'intervento della cava per l'estrazione del tufo databile al primo periodo imperiale (I sec. d.C.) non vi sono più attestazioni fino al cimitero tardo antico-altomedievale, articolato in tre fasi caratterizzate dal diverso orientamento delle fosse tombali. Alla necropoli appartengono numerose spolture, alcune con oggetti di corredo (un pettine in osso, un'armilla in bronzo e alcune perle di pasta vitrea) databili al VI-VII sec. d.C. e pertinenti ad un'area il cui carattere sacrale è testimoniato già in epoca ellenistica da alcune deposizioni votive ed è confermato poi, dalla costruzione dei templi cristiani.

La necropoli dell’età del bronzo di Roccoia (Farnese – Vt)

Durante il mese di agosto del 2007, la segnalazione di un appassionato locale ha portato all’individuazione di una tomba a camera databile al Bronzo Antico finale/Medio iniziale in località “Roccoia” nel comune di Farnese – Vt, ai margini della “Selva del Lamone” nei pressi del sito tardo etrusco di Rofalco. In accordo con la Soprintendenza si è programmata una prima ripulitura nel 2007 e uno scavo sistematico nell’estate del 2008, in cui si è appurato che la tomba era stata parzialmente intaccata dai lavori di una strada aperta molti anni fa e in seguito fatta oggetto di scavi clandestini.
Nel corso di questo intervento si è visto che la tomba non era isolata, ma faceva parte di una necropoli, composta da almeno altre due tombe con struttura analoga alla prima, regolarmente intervallate tra loro.
La tomba è composta da una camera a pianta quadrangolare 2,18 m x 2,30 m con volta crollata e da un dromos che presenta lunghezza di 3,42 m ca. e larghezza minima di 0,82 m e massima di 1,49 m ca., che rivela più fasi di preparazione, entrambe scavate all’interno del banco tufaceo.
Nella camera sono state individuate tracce di lavorazione; è stato messo in evidenza un lungo gradino che percorre l’intero lato N-W/S-E, forse utilizzato per deporre oggetti del corredo. La parte conservata della volta presenta un’inclinazione poco accentuata che ha fatto presumere che la forma non fosse a cupola ma a “tetto spiovente.
All’interno del dromos sono stati trovati scarsi resti di materiale ceramico, in particolare frammenti di una ciotola ritrovata nello strato definito di calpestio, riconducibile al Bronzo Antico/Medio mentre all’interno della camera sono stati trovati soltanto resti ossei non in posti, a causa della precedente opera di clandestini.